
Perché mai a me questa paura,
stabilmente, come un guardiano
davanti al mio cuore profetico
non pagato, pronuncia profezie,
né posso io scacciarlo come si fa
con sogni confusi, in modo che
(Eschilo, Agamennone)
La paura ti stringe le palle e ti trascina sotto, in una palude di acqua pulita, perché i tuoi occhi devono poter vedere. Dove il sole è rotto in decine di crepitanti riflessi argentati. Dove il blu è un muro sordo di gelatina. Un silenzioso abbraccio che ti uccide dolcemente. La più inesorabile assenza di rumore che vanifica ogni sforzo di fiato.
La paura è ricordo. Sensazione che ti guida per mano in momenti conosciuti.
Il mal di pancia di un’indigestione, ammantata di sudore freddo. La minaccia di un conato di vomito che non arriva mai. E arriverà.
La nausea prima di andare in scena. Coronata dalla processione plumbea di aghi luminosi in fila indiana. Gocce di mercurio liberate da un termometro rotto. Dalla vescica ai reni.
Un calderone nero. La pancia di una strega. Ribolle prima di un esame. Orologi inceppati dietro le scritte sulla porta. Con la compagnia di vasi di porcellana fredda che non sembra bastare mai.
La paura arriva quando sbuca dietro l’angolo di un pensiero l’immagine di Te, che ti presenti pedalando, accompagnata da idee che mi prometto di non pronunciare per molto tempo ancora.
La paura da peso alle cose. Valore. La paura permette di misurare tutta la bellezza di una intera serata insieme a Te. Giochi con cui mi sorprendi alle spalle. Ore a cui non credevo più.
Allora, per un attimo stremato, riesco anche a sorridere e a rendere grazie per questa paura, fintanto, dietro ai suoi veli, si può intravedere danzare questo vizio che mi ucciderà ancora molte volte, e che non voglio smettere più.