martedì 21 luglio 2009

Dai diamanti non nasce niente, dalle spille da balia nascono i fior


C’era una volta un ragazzino di quindici anni, spavaldo e colorato, come quando è tutto ancora intero, quando ancora è tutto chi lo sa (e a quindici anni si è stupidi davvero, quante balle si ha in testa a quell’età). Anni da voglio tutto o niente, radicali come ogni persona abbia un minimo di cuore non può non essere in quel periodo. Anni di megafoni e di primi amori, anni di sigarette che fan girar la testa e di non sapersi regolare.
Uscire di casa a quindici anni è quasi un obbligo, quasi un dovere, e il Primo Maggio offriva l’occasione storica per compiere un’impresa epica. La nostra odissea erano i binari della ferrovia, la nostra Ilio da conquistare era il concerto in Piazza della Vittoria a Reggio Emilia, la versione alternativa del Concertone di Roma, dove suonavano i Cccp-Csi e la combriccola di gruppetti a loro vicini, dai Marlene Kuntz agli Ustmamo. Armati di panini al formaggino e bottiglie di vino travasate, eravamo pronti a varcare le colonne d’Ercole. Dalla stazione di Itaca si parte, alla stazione di Itaca si torna, e nel mezzo una lunga giornata e un nugolo di persone nuove appena conosciute, e subito salutate, con un arrivederci, con una breve cerimonia di investitura, come per riconoscersi a vicenda l’onore delle armi.

C’era una volta, un ragazzetto di venitcinque anni, seduto su una sedia di legno. Conta le ore passate in segreteria, rivolgendo preghiere a S.Gallo perché la fila di studenti che lo precede scorra più velocemente. Certo non spavaldo e colorato come un tempo. Basti dire, per intendersi, che la sfanga un po’ di meno, ma ci capisce un po’ di più. Gli anni portano problemi e consigli, e come una pioggia che cade giorno dopo giorno su un terreno carsico, spingono in profondità le cose che prima stavano in superficie, lasciandole vivere, ma costrette a scorrere solo per fiumi e canali sotterranei. Nelle sue mani stringe una domanda di laurea che si accinge a consegnare, una tappa importante per un primo importante traguardo, che solitamente si taglia solo..due volte nella vita. Sfoglia svogliato William Shakespeare, Macbeth, tra qualche settimana ne uscirà uno spettacolo teatrale. Alza la testa di tanto in tanto, passando in rassegna le facce della popolazione annoiata che riempie la stanza. È in quella che riconosce un volto noto, seppur non familiare. Dov’è che l’ha già visto? Amica di amici? Facoltà? Forse, al liceo?...Beccata. Il concerto del Primo Maggio. Ha i capelli diversi, ecco perché non l’ha riconosciuta subito. Com’è che si chiamava?...C...C...Chiara? Quasi quasi le si avvicina e le dice qualcosa...No. E perché dovrebbe?



C’era una volta e c’è ancora, un ragazzotto di ventotto anni. Un po’ meno colorato e un po’ più spavaldo. La sfanga un po’ di più e si adegua, perché ogni tanto ha la sensazione di capirci un po’ di meno. Da quando si è laureato continua ad incontrare quella ragazza nei luoghi più impensabili, come si fa con certe parole, che senti pronunciare per la prima volta, di cui ricerchi il significato, e che da quel giorno scopri in bocca ad amici e parenti, canzoni e programmi televisivi, con l’arrogante nonchalance di chi sembra voler dire: ma come? Solo tu in tutto questo tempo l’avevi nascosta ai tuoi occhi?
Eccola Chiara, sbucare su un autobus arancione, fumare una sigaretta appoggiata ad un motorino in Piazza Savonarola, far ondeggiare un buffo codino da coda di scoiattolo, o da tennista svedese, mentre attraversa di fretta il cortile di Piazza Brunelleschi. Eccola dall’altra parte della città, che chiude la porta della sua psicoterapeuta, pochi attimi prima che lui stesse per entrarvi.
Ora. Non che la vita debba esser letta necessariamente alla strenua di un sussidiario illustrato di avviamento all’opera completa di Paulo Coelho, ne’ che si debba sfogliare per forza la quotidianità come pagine di un favoloso mondo di Amélie fatto in casa.
Ma il ragazzotto intravedeva in tutto questo un non so che...come una melodia che canticchi senza ricordare a quale canzone appartenga, come il bisogno di annusare una cosa prima di assaggiarla...il sogno di una cosa. Così si ripromise di non lasciarsi sfuggire, appena l’avesse incontrata ancora, la curiosità di condividere la sua meraviglia con quell’inconsapevole compagna di viaggio, seduta sullo stesso bus arancione per chissà quante fermate ancora.
Era quasi natale, quando la vide apparire e scomparire tra gli scaffali polverosi di vecchi libri di filosofia, nella biblioteca di Via Bolognese. L’occasione si presentava più ghiotta di un panettone senza canditi. Mancava solo un piccolo particolare, prima di mettere in scena lo spettacolo d’arte varia che più volte aveva visto scorrere nella sua immaginazione, nelle settimane precedenti. Anche i migliori prestigiatori, si sa, han bisogno di un coniglio o di un mazzo di carte o di un fazzoletto colorato, altrimenti la magia non riesce, e lui, da prestigiatore più che principiante, si sarebbe accontentato di chieder molto meno. Solo un piccolo oggetto. Il primo istinto fu quello di frugarsi le tasche e chinare lo sguardo per terra, aspettandosi di trovarselo prontamente davanti. Non poteva non trovarselo di fronte, d'altronde, ora che il momento era arrivato. Questo ripeteva a se stesso con la sicurezza di chi non crede nei miracoli, perché ne ha già visti troppi.
E invece non ve n’era traccia. Che scemo ad aver pensato ai romanzi di Paulo Coelho, al favoloso mondo di Amélie, a tutto un po’ po’ di armamentario stellare impegnato a cospirare in favore delle sue avventure...
Si sentì ridicolo, e, ridestato da sogni o visioni quasi da poter, a buon diritto, stropicciarsi gli occhi, ritornò serio, promettendosi che d’ora in poi avrebbe nascosto nel portafoglio quel piccolo oggetto misterioso, in modo da non uscire più di casa senza, da non farsi mai più cogliere impreparato, la prossima volta che la fatina del fato avesse deciso di far passar un nuovo autobus arancione.
Sicuro, si incamminò verso il gabbiotto della bibliotecaria, per farsi registrare il prestito dei libri che frattanto aveva preso. E fu attendendo che questa avesse sbrigato le sue pratiche, che lo vide li. Luccicante sulla scrivania della bibliotecaria, esattamente quello che stava cercando.
Mamma mia. Non poteva non approfittarne. Con cinque dita e un po’ di paura, accomodò nella tasca del cappotto l’ultimo anello mancante, prima che la bibliotecaria avesse finito di declinare sulla tastiera MEE-DII-TAA-ZIOOO-NI MEE-TAA-FII-SI-CHE.
Ormai il meno era fatto. Veniva adesso la parte più difficile, quella in cui il destino incrocia le braccia e se ne sta a cuccia nelle tue mani. Quella in cui dipende da te prendere il coraggio in pugno e andare incontro a un calcio in faccia con la tua calma e indifferenza sembra quasi che ti piaccia, laddove il calcio in faccia, in questo caso, consiste in una grassa figura di merda, e nella probabilità di scomparire sotto terra almeno per due o tre orette buone, se non sei stato capace di far andare le cose come avresti sperato.
Lei ha lasciato gli scaffali per leggere qualcosa appeso ad una parete. Lui le si avvicina e da inizio alle danze.

“Ciao scusa, ti posso rubare qualche minuto?”

“…. Ma… dipende…”

“Guarda si tratta solo di una roba di cinque minuti, se ti va, altrimenti me ne vado.”

“Mmm...sentiamo...”

“Tu non ti ricordi di me ma noi ci conosciamo..”

“No, guarda. Se ci conoscessimo me ne ricorderei!”

“E invece ti dico che ci conosciamo ma non te ne ricordo. Tu diversi anni fa avevi i capelli cortissimi non è vero?”

“Mmm…può darsi, e allora?”

“Non ti ricordi di me perché nel frattempo è passata molta acqua sotto i ponti. Per esempio io ora sono rasato a zero e allora avevo i capelli lunghi e invece tu ora hai i capelli lunghi e allora eri rasata a zero. Allora entrambi eravamo vestiti in modo molto eccentrico, io con le mie tutine coloratissime e le mie felpe peruviane, tu tutta punkettina, con fusò neri e spille e spillette appiccicate su tutti i vestiti. Mi ricordo che ti chiami Chiara, e che ormai un bel po’ di anni fa, andammo insieme a Reggio Emilia, ad un bellissimo contro-concerto del Primo Maggio, dove suonavano tutti gruppetti più alternativi che non erano andati a Roma.”

Il volto di lei comincia ad illuminarsi, sta cominciando a ricordare, e anche lei adesso ha spalancato la porta alla meraviglia, pronta a farsi travolgere.

“Quella fu una giornata bellissima.. e quando alla fine arrivammo a Santa Maria Novella tu mi facesti un regalo, mi dicesti: - Tieni! Così ti ricorderai di me! - e ti staccasti di dosso una delle tue spille da balia, per appuntarla sulla mia maglietta…
Ebbene, dopo tutto questo tempo, è arrivato il momento che io ti restituisca il regalo”


Ed estrasse dalla tasca la spilla da balia storta e ammaccata, fregata alla bibliotecaria.

“Come vedi è piuttosto vissuta e sciupacchiata, ma d’altronde, te l’ho già detto. Ne è passata di acqua sotto i ponti!”

Gli occhi gonfi di incredulità di lei, quel sorriso spalancato, erano un premio impareggiabile agli sforzi che aveva fatto.

“Ci sarebbero tante altre cose da dire...ma ce le diremo la prossima volta.”

E la salutò così, da signore, senza chiederle altro. Un appuntamento? Un numero di telefono? Macché, voleva congedarsi con la sicurezza di chi SAPEVA che l’avrebbe incontrata ancora. Non occorreva aggiungere altro.


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