martedì 29 dicembre 2009

Piovono pietre da un cielo di cotone


Questa era la realtà. Una realtà con cui, una volta o l'altra, bisognava pur decidersi a fare i conti. E questa realtà raccontava in giro che non c'era alcun futuro per noi. No. Solo un'eterno presente, sospeso, liquido amniotico, come un dolore straordinariamente dolce. Questa era la realtà.
La realtà. In un paese civile, la realtà, dovrebbe essere proibita.


Aveva appena riagganciato, e diceva a se stesso:

"Visto?...Non mi ha fatto male".

Cinque minuti più tardi, poteva sentire l'uggiolina gelatinosa che colava, sgocciolante, tra il petto e lo stomaco. In certe circostanze, il modo in cui è fatto il cuore, ricorda da vicino un Uovo. Una piccola crepa sul guscio lascia colare, giù, il suo albume.
Lentissimamente.



venerdì 4 dicembre 2009

L'amore ai tempi dell'H1N1



Mamma: “L’unico guaio che tu abbia mai avuto, figliolo, è il colera”

Nonlasfango: “Mamma...tu confondi l’amore col colera...”

Mamma: “...mmm...allora ll’è maiala...”


lunedì 23 novembre 2009

La direzione si scusa per il cambio di direzione



Ebbene d’ora in avanti dovrò fare a meno di una certezza tanto imperfetta, uno straniero m’ha invaso, d’ora un avanti “IO” chissà chi è.

(Gesualdo Bufalino, L'uomo invaso)



Al parco, una domenica di sole di fine dell’autunno. Il sole non scalda veramente, intiepidisce. Per terra, tra le foglie secche, gialle, le ombre si distendono lunghissime. I bambini, giocando come i cani, le rincorrono divertiti, quasi fossero giganti che non spaventano più. Tira un po’ di vento, che raffredda il sudore sulla schiena, la punta del naso e le guance bruciano arrossati. Su un girello che dovrebbe essere azzurro, non proprio arrugginito, ma dalla vernice scartocciata, dondola un bambino solitario. Ha indosso un costume rosso, da Jolly. Un collare e un cappello a sei punte, con campanellini sonanti che tintinnano giù. Ogni tanto si da una spinta per continuare a girare.

Si dice che talvolta chiudere gli occhi sia il modo migliore per vedere più chiaro. Das Innere Auge.
Gli occhi li chiudo forte. Ma non trovo ancora la chiarezza che cercavo. Ogni punto esclamativo acquistato al mercato delle pulci, finisce per arricciarsi in un punto di domanda, sorpreso dall’umidità di questo fiato grosso che appanna gli occhiali.
Seduto su quella stessa giostra. Ma questa gira sempre più stancamente, sotto i colpi di spinte distribuite, oramai, prevalentemente a casaccio, random, assolutamente orfane della certezza di chi sa che cosa ci vuole, cosa sta facendo, e perché.
Ora scrivo la tesi con la testa sott’acqua, ma francamente ignaro della direzione in cui i miei discorsi andranno a parare. Ora non scrivo più una riga per tre settimane.
Mollo il teatro, mi avventuro tra yoga e corsi di cucina, consumo e sostituisco inutili ampolle di fiori di Bach, sfogo frustrazioni e inoculo germi in una palestra di nazisti.
Prima cerco di aggiustare conti col passato, rimandati oltre ogni dignità. Poi cerco di ristabilire i contatti con quello che una volta facevo e che ora mi paralizza, con quella leggerezza e quella spontaneità soffocata da giudici severi che pretendono la più austera perfezione da me, allungano sulla mia fronte una fredda carezza, e poi si guardano la mano.
Adesso scavo e cerco questo fondo. Dov’è questo fondo da toccare e risalire, o da sfondare e proseguire dritto? Dove sono quelle parti di me che ho perso, a cui ho rinunciato, perché non volevo più fare del male, e la cui assenza adesso mi impedisce di fare il mio bene? Quanti errori mi sono concessi ancora, e quanto tempo per riparare a questi errori? E tutto il tempo generoso del mondo, sarebbe sufficiente, senza sapere da che parte cominciare?
Con tempismo irriverente che fa pensare a coincidenze o somatizzazioni, si susseguono le febbri. E io ne approfitto per staccare un poco la spina da questi pensieri confusi, almeno il tempo necessario a guarire, perché il greto di questa ricerca ossessiva sembra spingermi nulla più che in equilibrio su un burrone di follia. E allora non pensare, perché ci sarebbe solo bisogno di fare, e pensare a fare, senza avere idea di cosa fare.

Al parco, una domenica di fine autunno, ha cominciato a piovere. Un girello che dovrebbe essere azzurro, non proprio arrugginito, ma dalla vernice scartocciata. Nessuno è seduto la sopra, nessuno, più, dà spinte confuse. Cigolìo claudicante. Si è già fatto buio, è calata la sera, e cadono altre gocce, e cadono altre foglie gialle, su di una domenica, caduta pure lei, all’indietro. Che in ogni caso non tornerà più.



mercoledì 18 novembre 2009

Dialogo tra un uomo inadeguato e un operatore di piercing





Dopo una meticolosa ricerca della porta di ingresso, smarrito in una specie di labirinto a specchi, mi imbatto nel Tedesco, uomo dei piercing alto due metri, pieno di piercing, biondo, occhi di ghiaccio, stessa faccia e stessa voce identica della guardia delle SS che ne “La vita è bella”, quando Dora si presenta alla stazione per impedire che facciano salire Guido, Giosuè e lo Zio sul treno per il campo di concentramento, le risponde: “non c’è errore.”

T: Salve
N: Salve, vorrei uno di quei piercing a cerchietto con la pallina, ma fine però, perché ho il buco fatto con la pistola…
T: Ahi. Male. Seguimi.
N: Eh, lo so…l’ho fatto ai vecchi tempi…quando…quando….


Oltrepassiamo il vetro dietro il quale un ragazzo si morde una mano mentre il tatuatore gli scolpisce il braccio. Rumore di motosega. Sembra di essere dal dentista. Però ci sono più teschi. Il dentista deve essere il Colonnello Marlon Brando Kurtz, direttamente da Apocalipse Now. Entriamo in una stanza asettica, bianca, con un lettino.

T: Siediti.
N: Ah, ah, ah, che fai?! Tocchi?!
T: Siediti.
N: Ma perché?? me lo metti te???
T: Si.
N: Ooooh! No, no, non importaaaa, grazie!
T: Ci penso io, all’inizio è difficile da mettere.
N: Via, ma fammelo vedere, prima.
T: Vieni.

Ci spostiamo in una stanza adiacente. Il Tedesco apre alcuni cassetti.

N: Ma, ma, ma..ce l’hai anche di quelli scuri, tra l’altro?
T: Si.
N: Oh, oh, oh! Davvero?
T: Te lo giuro.
N: Fantastico!
T: Eccolo.
N: Ah, bene! Quant’è?
T: Te lo metto in un sacchettino, allora?
N: Oh! Si, grazie!
T: Spendi quindici.
N: Ecco a te! Grazie mille eh!
T: Di niente.
N: Ciaooo, ciaoooo!


sabato 14 novembre 2009

Come una piccola ape furibonda


Senza nascondersi. Le ultime settimane sono state una specie di sogno ad occhi aperti, un susseguirsi di giochi, sorprese, piccole complicità, intimità, spazi conquistati, braccia strette attorno al petto smarmittando in Vespa, chi cerca trova, tempo per stare insieme strappato agli impegni, e poi chiedere di più, con golosità.

Senza nascondersi. Molto difficile il risveglio. Il ritorno ad una grigia normalità che apparteneva a Ieri, fatta di ripensamenti, spazi inviolabili, pensieri e dubbi tenuti per sé, dileguarsi nella notte, questo forte silenzio.

Niente di nuovo sul fronte occidentale. Intorno al "Café nuit" la gente inciampa, consuma vampate di entusiasmo, colleziona cose inutili, si illude, chiude una finestra, apre un portone, accarezza pelle liscia e calda sotto le coperte, va in bagno, si accende una sigaretta, schiaccia pulsanti, ha lo stomaco chiuso, poi di nuovo appetito.

Niente di nuovo sul fronte occidentale. Sentivo l’odore di un temporale improvviso, fulmini a ciel sereno, eppure le previsioni erano state chiare al riguardo. C’è davvero da spaventarsi, allora? O accetteremo il tempo che fa, senza lasciare che ci costringa a restare barricati in casa?

D’altronde “Ogni alba ha i suoi dubbi”, come ci ricorda la piccola ape furibonda, poetessa straordinaria che ci ha lasciato proprio in questi giorni, perché evidentemente è vero che Il poeta non dorme mai ma in compenso muore spesso, e qualche volta muore sul serio, aggiungo io. E allora siccome in fondo tutti sono poeti, persino i poeti, eccomi a rantolare seguendo questa stessa sorte, e chiedermi, di fronte a te che come il sole al di la delle dune sei arrivata qui a violentare altre notti, segnatamente le mie: di queste notti insonni, quante me ne concedi ancora?

Quella prima del gran giorno, venerdi scorso, lo è stata di sicuro.
Ed è al termine di notti come quella, quando si può ricordare che il modo migliore per realizzare un sogno è alzarsi dal letto, quando si affronta il drago e va tutto bene, davvero tutto bene, che si sente un sapore sulle labbra, misto al tuo, e che sembra dire…ce la farò.

È tornata la primavera nei tuoi sguardi, e il tempo di stringere ha preso il posto di quello di lasciare. Adesso mi godo forte queste notti insonni, come le altre, ma di un colore diverso. E Aspetto altre fughe, altre notti insonni, che in futuro ce ne saranno, di sicuro. Ma mi metto delle pantofole comode, perché adesso so che le accoglierò con questa convinzione che mi ronza in testa, per l’appunto, come una piccola ape furibonda.





domenica 18 ottobre 2009

Ieri


Spending warm Summer days indoors
Writing frightening verse
To a buck-toothed girl in Luxembourg
ASK ME, ASK ME, ASK ME!





Anime fiammeggianti attonite, squarciato il velo della cecità. A mezzo cielo in vuoto denso d'inganno figurativo, tra ciò che hanno distrutto e ciò che non gli toccherà

Si dice che si nasce soli, e si muore da soli. Non è tutto, credo. Anche quando si sogna si sogna da soli. In un mondo abitato da fate, in cui Pollyanna regna sovrana, gli oceani sono puliti, tutti vivono in pace e c'è sempre un bel sole...in quel mondo, che gran bella avventura io e te insieme. Ma dispetto delle apparenze, so distinguere bene il mondo reale dal fantabosco.

aspetta chi è aspettato, che sia compiuta l'attesa di chi attende. Non sono strutturato in modo di poter reggere per molto tempo ancora.




Anima fiammeggiante soffoca, smaniosa d'aria non ce la fa. Giorni spremuti e notti attinti a un pozzo profondo millenni.

Credevo ci fosse una specie di guerra preventiva, una sorta di accanimento terapeutico con cui volevi proteggermi dai miei desideri. Come avrei potuto attribuirti una colpa, quando al risveglio avessi scoperto che i miei sogni non erano li accanto a me, dove li avevo lasciati? Come avrei potuto presentarti il conto di calici infranti che io, solo, ho consumato?

sotto la calma apparente un assordante frastuono, dissonanze chiassose e confuse, armonie affannate sconnesse, leggere increspature agli orli.




Anima fiammeggiante zoppica, zoppica brace non sa se ce la fa. Un gioco antico, un bel gioco, pericoloso solo per sé.

I regali, i complimenti, frasi stupide, i baci, le carezze, la voglia di stare con te, tutto questo sono io. Rispondimi cinquanta no. Ma lasciami la naturalezza di continuare a dire cinquanta volte si. Nessun bisogno di stringere, nessun progetto preconfezionato, arredato in solitaria, in cui incastrarti a forza. Io scopro ogni giorno Te. Non mi serve altro. Poiché credo in Noi. Non ho bisogno di altro.

alimentare catena implacabile: pause tranquille atte alla digestione, intransigenze mute, rabbiose devozioni.




Ieri, ho dato al mio dolore la forma di parole abusate che mi prometto di non pronunciare mai più.

Oggi, lasciando perdere attese e ritorni, ho aperto gli occhi dall'orlo increspato, e ho visto l'alba blu.


giovedì 15 ottobre 2009

Miele amaro



Dedicato ai sogni infranti di Tina. Al dolore, la faccia volutamente dimenticata della natura. Al miele, che nonostante tutto ci regalerà. E alla capacità di sapere ascoltare. Fermarsi. Ripartire. Lottare.


Regy, andiamo al cinema stasera, vieni?

...no....

Regy, andiamo a fare un giro in Vespa, vieni?


...no...

Regy, andiamo a cena dai Calabroni e poi guardiamo un dvd, vieni?

...no...

Ma guardiamo Ecce Bombo…


Ho detto di nooooo!!


Molte delle mie compagne credono che io prenda troppo sul serio l’investitura regale che madre natura mi ha affidato, sospettano che mi sia lasciata abbagliare dal mio rango, fino a diventare tristemente snob ed asociale. Le pareti della mia cella sono così sottili, che non servono Cimici, a sera, per scoprirle a parlare alle mie spalle. Non posso fare a meno di sentire il loro ronzio da Zanzare Tigri:

Chi si crede di essere? Una Farfalla?”
sempre a tirarsela! Ma bada, che prima o poi la Ragnatela si rompe..
Ma andasse a farsi prendere a calci nel sedere da un Millepiedi!

Già le vedo, tra qualche tempo, bussare alla mia porta:

ci spiace…sai…
oh!.. è nata un’altra Regina…chissà com’è….
...sai come vanno certe cose…
non possiamo permetterci una sciamatura…c’è la crisi…
...e bla bla bla…

E mi daranno il benservito. Condanna a morte per iniezione letale. Funerali di stato. Una bella statua di Cera d’api da fare invidia a Madame Thoussaud. E via…ferormoni nuovi vita nuova, altro giro altra corsa…il grande circo della vita.
Le Serventi, almeno loro, mi vogliono bene. Si preoccupano per me. Dicono che lavoro troppo, peggio di una Formica, e che la vita non è fatta per trascinare ogni giorno il proprio fardello, neanche fossi uno Stercorario...mi dicono:

non stare tutto il giorno davanti alla TV a rimpinzarti di pappa reale!

hanno paura che magari possa diventare bulimica, come gli amici della Melata, che si rimpinzano di linfa fino all’orlo, e poi, presi dai sensi di colpa, vomitano palle di zucchero ancora caldo sulle cortecce.

….Ma che ne sanno loro, cosa vuol dire esser Regina.
Io a volte vorrei parlare, provare a spiegare, che ci sono ferite che nessuna Propoli può rimarginare...
...ma tanto che glielo dico a fare...

Erano tutte contente, quel giorno.
Quanto sarà passato? Due anni? Forse tre? Dovrei attorcigliarmi su me stessa e contare i pallini colorati della marcatura sulla mia schiena, per ricordare con esattezza.
C’era un gran sole, questo me lo ricordo, tant’è che tracciare le rotte per le Bottinatrici era un gioco da larve. All’ingresso dell'alveare, accanto alle Guardiane, c’era bisogno delle Ventilatrici per rinfrescare i favi e i melari, dal caldo che faceva.
Le mie sorelle si facevano in quattro per prepararmi al grande evento. Mi stavano tutte addosso come un Glomere. Mi lucidavano le ali, si preoccupavano che tutto andasse liscio:

Ce l'hai qualcosa di blu?
E qualcosa di vecchio?!
E qualcosa di nuovo?!?
E qualcosa di prestato!?!?!

La giarrettiera! non dimenticarti la giarrettiera!!!
Aaaah, cara!

sospiravano,

Vedrai. Il volo nuziale è un'esperienza indimenticabile!

dicevano,

il giorno più bello

dicevano,

te ne ricorderai per il resto della tua vita!


Io ero un po’ spaesata a giro per il bosco, per la prima volta…mi sentivo come Cappuccetto Rosso. Intimorita, timida, e così goffa…nessuna delle mie sorelle ha un sederone come il mio.
Pensavo al Fuco che avrei incontrato. Cercavo di immaginarmelo.
Doveva essere senz’altro un tipo romantico. Si sarebbe presentato con un mazzo di Millefiori e poi mi avrebbe fatto danzare. E avremmo riso.
“E se poi non gli piaccio?” pensavo, guardandomi intorno, alla ricerca di polline di Fiori di Bach per calmarmi.
Ma poi il bosco ti conquista, con tutti quei colori, quegli odori…ho cominciato a volare più veloce, e poi in picchiata, mi sono sentita libera, come non mi ero mai sentita prima, con il vento forte sulla faccia.
Di colpo tutte le preoccupazioni si sono sciolte, come miele grezzo al sole…d’un tratto era come se sapessi perfettamente cosa volevo e dove dovevo andare.

Mi ritrovai in uno spiazzo, vicino ai castagni. Rallentai, stranita, come appena risvegliata dal sonno, perché colpita dal silenzio irreale che improvvisamente era calato.
Ma durò solo un istante. Poi, eccoli arrivare.
Uno, due, tre, quattro. Da destra. Da sinistra. Da dietro, sono ovunque, con quegli occhi enormi, che non vogliono sentire ragioni.
In un attimo sono circondata. Chi mi prende in volo, chi mi sbatte sulle foglie.
Il Branco non ti porta in dono nettare e polline, non ti chiede come stai, non ti dice che sei bella.
Affida la vita e la morte a pochi secondi di passione.
Tutto avviene in silenzio. Rotto soltanto dalla paura, dal ronzare d’ali, delle tue mani che vanno da sole, e dall’attesa che finisca. E pèni appiccicosi che ti restano attaccati, che colano viscere, e la follia di chi si piega al proprio destino.

Quando torni a casa non voli veloce e sicura come quando sei partita. Bruciano gli occhi, ma per il pianto, non per il vento. Non hai voglia di parlare.
Consegni la Teca ormai piena, che ti consentirà di fecondare ogni giorno più o meno due migliaia di uova.
Le tue sorelle ti coccolano, ti accarezzano e ti staccano il macabro regalo, la triste reliquia del tuo ultimo amore. Ti portano nella tua cella, dove ti addormenti di un sonno senza sogni.
La principessa è diventata regina. Il sacrificio è il suo dono, che assicurerà la vita a tutto l’alveare.
Ora sono qui. Servita e riverita.
Ma non ho più sentito i colori, gli odori del bosco e il vento forte sulla mia faccia.


mercoledì 7 ottobre 2009

Quando tutto diventò Blu






Ogni mattino, al risveglio, impiegava un minuto ad imparare da capo a leggere le lancette dell’orologio. Dalla finestra filtravano i raggi di un strana luna, molto più luminosa e decisamente meno discreta di quella che aveva salutato, nel cielo, la sera precedente. Non le piaceva. Qualcuno, poi, le baciava via il sonno dagli occhi. Il tempo di un risolino e P.G. si rivestiva di corsa. Lasciando il letto profumato e disfatto, e una sete che so non mi lascerà più.
Miele nel vino tu sei, piccola Venere.
L'indifferenza ti fa altissima.


lunedì 28 settembre 2009

Servi del dio Pan




Perché mai a me questa paura,
stabilmente, come un guardiano
davanti al mio cuore profetico
volteggia? E un canto non richiesto,
non pagato, pronuncia profezie,
né posso io scacciarlo come si fa
con sogni confusi, in modo che
la fiducia rassicurante sieda
sul trono della mia mente?

(Eschilo, Agamennone)



La paura ti stringe le palle e ti trascina sotto, in una palude di acqua pulita, perché i tuoi occhi devono poter vedere. Dove il sole è rotto in decine di crepitanti riflessi argentati. Dove il blu è un muro sordo di gelatina. Un silenzioso abbraccio che ti uccide dolcemente. La più inesorabile assenza di rumore che vanifica ogni sforzo di fiato.
La paura è ricordo. Sensazione che ti guida per mano in momenti conosciuti.
Il mal di pancia di un’indigestione, ammantata di sudore freddo. La minaccia di un conato di vomito che non arriva mai. E arriverà.
La nausea prima di andare in scena. Coronata dalla processione plumbea di aghi luminosi in fila indiana. Gocce di mercurio liberate da un termometro rotto. Dalla vescica ai reni.
Un calderone nero. La pancia di una strega. Ribolle prima di un esame. Orologi inceppati dietro le scritte sulla porta. Con la compagnia di vasi di porcellana fredda che non sembra bastare mai.
La paura arriva quando sbuca dietro l’angolo di un pensiero l’immagine di Te, che ti presenti pedalando, accompagnata da idee che mi prometto di non pronunciare per molto tempo ancora.
La paura da peso alle cose. Valore. La paura permette di misurare tutta la bellezza di una intera serata insieme a Te. Giochi con cui mi sorprendi alle spalle. Ore a cui non credevo più.
Allora, per un attimo stremato, riesco anche a sorridere e a rendere grazie per questa paura, fintanto, dietro ai suoi veli, si può intravedere danzare questo vizio che mi ucciderà ancora molte volte, e che non voglio smettere più.

domenica 13 settembre 2009

Frozen



Congelato. Il filo del discorso che unisce le storie con cui ho arredato questo spazio, che da un po’ di tempo non riannodo più. Come non avere più parole da dire. O come se queste bruciassero così amare in gola, come un sorso di grappa, da dover lasciare al palato qualche minuto di silenzio e apnea, per abituarsi, prima di poter pronunciare qualsiasi altra cosa.

Congelato. Come compiti ancora da finire che restano salvati sul portatile, e che avanzano stancamente, come un guerriero sporco e sudato che cerca claudicante la strada di casa, dopo che la guerra è finita da un pezzo.

Congelato. Come in attesa di una risposta che non arriverà mai, rimbalzato da un Godot all’altro, salutare qualcuno che parte e che «magari» non sarebbe tornato più.

Congelato. Come davanti a frasi criptiche capaci di riattizzare di linfa e miele nuove fantasie, ma isolate e sorde come un sasso gettato in uno stagno, buone solo a far partorire nuove idee balzane, ridicole imprese cavalleresche, progetti di nuovi arrembaggi discreti ad una nave che credevo avrebbe portato lontano. Trombe alle quali non verrà dato mai fiato.

Congelato. Come ad aprire la porta e trovarsi a far gli onori di casa ad un vecchio nemico, silenzioso e strisciante, di cui si erano perse le tracce da un bel po’ e che credevi gettato ormai alle spalle.

Congelato. Come davanti ad un autunno che si è presentato senza avvisare, dalla sera alla mattina, e con tutti i sentimenti, alzando un vento che, già, fa pensare e fa vestire da inverno.

Congelato. Con la netta sensazione che questo vento si sia portato via, insieme all’estate, anche tutte le fragole. Con gelato.

martedì 25 agosto 2009

Stagioni


Si è staccato l’intonaco dal soffitto. Il caldo dell’estate l’ha reso secco, si è sbriciolato rapidamente.
Sono cadute tutte le stelle appese.
Erano le mie stelle. In quella casa stelle non ce n’erano.

Le case del centro hanno soffitti alti.
Più si sale in alto, più forte è il botto quando si cade.
Le mie stelle devono aver fatto un bel volo. Ma nessun desiderio è stato espresso quando sono cadute.
Lasciano molta polvere. Qualcuno spazzerà.

L’estate è finita. L’afa di questi giorni ancora non lo sa.
Pianoforti di legno imbarcati dal tempo, fatti saltare dall’umidità salmastra, non emettono più suoni.



Ma l’estate, paziente, ritorna lo stesso.



...e anche Agosto

(CLICK)



mercoledì 19 agosto 2009

Furbo come una volpe e un piccolo principe


" Se tu vieni, per esempio, tutti i pomeriggi alle quattro,
dalle tre io comincerò ad essere felice.
Col passare dell'ora aumenterà la mia felicità.
Quando saranno le quattro, incomincerò ad agitarmi e ad
inquietarmi: scoprirò il prezzo della felicità!
Ma se tu vieni non si sa quando, io non saprò mai a che ora
prepararmi il cuore... "

Quando uno sconta un'adolescenza infame, tirata su a pane, volpe e piccolo principe, e poi, ormai grandicello, si trova a salutare una persona che parte, col pensierino che corre alla svelta dietro a voglie e riminescenze di addomesticamenti vari...

...ecco...

se proprio non può fare a meno di pensare stronzate, quantomeno bisognerebbe si ricordasse pure di segnarsi sul calendario quando Lei ha detto che tornerà. Altrimenti si può correre il rischio di ritrovarsi alle quattro da un pezzo.



mercoledì 12 agosto 2009

Per esempio


Per esempio attraverso aforismi e citazioni potrei parlare del "CASO"...

Concordare con Humphrey Bogart quando dice che "Se fosse il caso a governare il mondo, tante ingiustizie non avverrebbero"....

O meglio ancora farmi aiutare da Milan Kundera e dalla sua insostenibile leggerezza dell'essere per raccontarvi che...


" ...Quando Tomas tornò a Praga da Zurigo, fu preso da una sensazione di malessere al pensiero che il suo incontro con Tereza fosse stato determinato solo da improbabili coincidenze.

Ma non è invece giusto il contrario, che un avvenimento è tanto più significativo e privilegiato quanti più casi fortuiti intervengono a determinarlo?

Soltanto il caso può apparirci come un messaggio. Ciò che avviene per necessità, ciò che è atteso, che si ripete ogni giorno, tutto ciò è muto.
Soltanto il caso ci parla. Cerchiamo di leggervi dentro come gli zingari leggono le immagini formate dai fondi del caffè in una tazzina. (...)

Non certo la necessità, bensì il caso è pieno di magia. Se l'amore deve essere indimenticabile, fin dal primo istante devono posarsi su di esso le coincidenze, come gli uccelli sulle spalle di Francesco d'Assisi.... "



martedì 11 agosto 2009

Riconosco per mio solo quel che è scritto con inchiostro simpatico


Dovete perdonarmi, ma in questi giorni non son capace di scrivere cose mie. La fantasia, mi sembra essere d'improvviso diventata un'ombra pallida al confronto della realtà, una copia ridicola ed ignobile. E così per qualche giorno o settimana credo che non parlerò che per citazioni, almeno fino a quando qualche caro Astolfo generoso, milite-esente e ippogrifo-munito, non avrà recuperato, sulla luna, l'ampollina col mio senno dentro.
Intanto certe frasi, risatine, occhi, sorrisi, quel che ne rimane nei miei pensieri... me li tengo per me.



mercoledì 5 agosto 2009

A volte ritorno



Che animale sono? con il mio senso di inadeguatezza, col mio sentirmi non all'altezza, con il mio non sapere che dire, i silenzi spreconi, durante il tempo che miracolosamente mi concedi? Che animale sono? incapace di parlare altro linguaggio se non il bisogno di un contatto con te, di abbracciarti, sfiorarti la pelle, di aspettare quel bacio pensato, che non trova il tuo sguardo? Che animale sei? con i tuoi occhi attenti a non incrociare i miei, con i silenzi pensosi, con questo annusarsi a distanza. Che animale sei? così abbottonata, attenta a proteggerti, o forse a tenermi sotto controllo, così sospesa tra il trovarmi patetico o sorprendente.
Ce n'è di domande da farsi, di attese pazienti, di portate da cucinare, di piatti da ammatassare sul balcone in attesa di essere lavati. Ce n'è di caraffe di Spritz, di greco di tufo, di lunghe pause-sigaretta in terrazza, ad avercene una, in bilico tra tendipanni e posaceneri viola. Ce ne sono di pezzi da rimettere insieme. Intanto, chiedo alla Mastrocola. Che animale sei?




"...Ma ci mise troppo tempo a riflettere; avrebbe dovuto dirle qualcosa e invece non le disse niente e il taxi, come fanno quasi tutti i taxi del mondo, arrivò.
Lui la guardò salire. Pensava a mille cose: chissà come le sta bene un vestitino a fiori scollato, glielo vorrei comprare io, e invece adesso lei cosa va a cercarsi un fidanzato, meglio se non lo trova, o se quel cretino annega o se lo ingoia un castoro, e cosa diavolo ci sta a fare un fidanzato tra noi due, non c'entra niente, e io adesso glielo dico, e invece no, non glielo dico, perché devo andare in biblioteca a scrivere, anche se non ho proprio neanche un'idea in testa...ma poi lo so che mi viene, perchè le idee vengono sempre, come i taxi, le persone, invece, le persone invece a volte se ne vanno, soprattutto le persone un po' speciali che magari hai appena incontrato e non vorresti che andassero via mai più, le legheresti al tuo braccio con un cordino colorato, come si fa coi palloncini. Ma anche i palloncini poi se ne vanno, volano via e tu rimani con il tuo stupido cordino colorato al braccio, e cosa te ne fai? Guardi il palloncino che se ne va in alto e poi non lo vedi neanche più.
E chissà quanti milioni di palloncini ci sono in cielo. Tutti i palloncini che abbiamo perso, che idioti! Cosa stavamo facendo quando li abbiamo persi, cosa avremmo potuto fare per non perderli mai, e io adesso cosa vado a fare in biblioteca, posso benissimo non andarci, e allora perché ci vado, e lei sale su quel maledetto taxi..?.. "

giovedì 30 luglio 2009

Dove non osano le aquile.

( ovvero la seconda puntata della mirabolante saga “Dai diamanti non nasce niente dalle spille da balia nascono i fior” )

Immaginate una bella storia, iniziata 13 anni fa.

Immaginate una persona rincorsa, ritrovata, lasciata andare di nuovo, con la certezza che il delfino ci farà incontrare ancora.

Immaginate che, in effetti, poi quella persona non l’avete più incontrata. Delfino bastardo.

Immaginate che però dopo 6 mesi la incontriate per davvero.

Immaginate che quel giorno per l’appunto voi state dando due esami di filosofia, siete sudaticci, disidratati, avete alle spalle 3 ore di sonno, e davanti a voi l’attesa e un ripasso per non lasciare niente di intentato, anche se la tensione lo fa risolvere in una vuota rilettura ad oltranza della stessa pagina per tutta la mattina senza avere la minima idea di che cosa si sta leggendo.

Immaginate che, date le premesse, in effetti non siete esattamente nelle condizioni di approfittare dell’incontro per fare gli splendidi e strappare un invito per un caffè, con qualche uscita brillante che sia all’altezza dell’ultima volta, e che dunque, vedendo quella ragazza sbucare da un angolo, vi precipitiate disonorevolmente a chiudervi in un bagno, per non essere visti.

Immaginate che sia tutto vano perché 20 minuti più tardi la incontrate di nuovo, solo che stavolta siete faccia a faccia e non potete sottrarvi, e sarebbe stato meglio, conti fatti, dire “CIAO” piuttosto che rimanere a bocca aperta come se aveste visto un fantasma.

Immaginate che in realtà sembra che il vero fantasma siete voi, a giudicare da come lei vi è passata attraverso senza proferir parola.

Immaginate che non fate in tempo a pensare “però...che peccato” che la incrociate ancora una volta, e stavolta lei vi dica il CIAO che voi non avete detto, e le rispondiate, balbettando, per le rime.

Immaginate che una settimana dopo torniate in Via Bolognese per andare a ricevimento da due professori, che risulteranno entrambi assenti, e la incontriate di nuovo.

Immaginate che lasciate che lei esca dal corridoio senza essere visti, e aspettate un minutino ad uscire per non doverla incrociare di nuovo, convinti di non avere ancora niente di minimamente intelligente da dire.

Immaginate che quando uscite lei in realtà abbia deciso di fumarsi una sigaretta e quindi è ancora la fuori, e dovete ripetere un nuovo anonimo ed imbarazzato CIAO.

Immaginate di salire sulla Vespa, a cui tra l’altro avete dimenticato attaccate le chiavi per un’ora, e vi sembra già tanto non ve l’abbiano rubata, e mettervi il casco.

Immaginate di togliervi il casco e pensare che in effetti potrebbe essere carino approfittare del caso, che vuole che nel bauletto della Vespa voi abbiate per l’appunto un cestino di susine, colte dall’orto e regalatevi qualche ora prima da un vostro amico.

Immaginate che potreste approfittarne per alzarvi da quella Vespa, andare da lei, e con la sicurezza guascona con cui Humphrey Bogart le offrirebbe un Gin Tonic dirle: “Gradisci un cesto di susine?”

Immaginate di trovarla un'idea assolutamente stupida e che dunque vi rimettiate il casco per la seconda volta, e ve ne partiate smarmittando con disonore.

Immaginate di ripetervi che siete degli stronzi, fino a Piazza della Libertà, quando finalmente fate inversione e tornate da lei.

Immaginate che lei, giustamente non sia più li.

Immaginate che il giorno dopo tornate in Via Bolognese per andare a ricevimento da altri due professori, e che anche questi due latitino clamorosamente.

Immaginate che al contrario di quanto avevate immaginato, stavolta non la incontrate.

Immaginate che dopo un’ora e mezzo ve ne andate.

Immaginate che prima di uscire vi fermate dalla portinaia giusto per prendere l’indirizzo mail dei professori (bastardi) che non vengono a ricevimento.

Immaginate che lei sia proprio li, dalla portinaia.

Immaginate che stavolta le parlate, e addirittura lei vi invita a prendere un caffè.

Immaginate che sorseggiate caffè e chiacchierate amabilmente, finchè, prima di salutarvi, non vi scambiate gli indirizzi di posta, e vi diate appuntamento a scrivervi fra due settimane, quando tornerete dal mare, dato che ad entrambi si prospetta un lungo e caldo agosto fiorentino.

Immaginate di tornare dalle vacanze e scriverle.

Immaginate che lei vi risponda, vi proponga di vedervi per un aperitivo, dopo la chiusura della Biblioteca Nazionale.

Immaginate di segnarvi sulla rubrica il numero di cellulare che lei vi ha scritto nella mail, e di mandarle un sms per dirle “Ok! Ci vediamo alle 19 fuori dalla Nazionale.

Immaginate che il giorno dopo alle 19e08 siete la fuori, la Nazionale è già chiusa, e di lei non v’è traccia.

Immaginate che la chiamate e non risponde.

Immaginate veder apparire un vostro compagno di classe delle medie, che non vedete da molto tempo, vi chiede cosa fate li, gli dite che aspettate una persona, vi scambiate qualche informazione su quello che fate nella vita adesso, e vi salutate.

Immaginate che le mandate un messaggio dove ironizzate chiedendole se per caso se ne fosse già andata, stizzita e indignata per 8 minuti di ritardo.

Immaginate di non ricevere risposta.

Immaginate, 20 minuti dopo, di veder apparire l’amica di una vostra amica, che vi chiede cosa ci fate li, di risponderle che aspettate una persona, e di salutarla dopo che le avete dato indicazioni per raggiungere Via De’ Neri, dove si sta recando per vedere una stanza in affitto per settembre.

Immaginate di mandare un messaggio alla tipa in cui ironizzate ancora, dicendo: “Ho capito!ti sei addormentata sui libri, nessuno se n'è accorto e ora ti hanno intrappolato dentro la biblioteca!Resisti, io sono qui fuori, sto arrivando coi soccorsi!

Immaginate di non avere nessuna risposta.

Immaginate di veder passare due uomini, dalla apparente età di 40-50 anni, in due su un Liberty, che a velocità sostenuta perdono per strada il bauletto. Questo rotola per la strada aprendosi e spargendo fogli e altri oggetti. Un tizio in motorino che passa si ferma ad aiutarli e raccoglie il bauletto per porgerglielo. Uno dei due sorride e gli dice: "Nel bauletto c'era un milione di euro, che fine hanno fatto?".

Immaginate di veder tornare indietro il vostro compagno di scuola delle medie, che si stupisce che siate ancora li, e vi risaluta.

Immaginate che dopo un’ora e un quarto la chiamate di nuovo e non ottenendo risposta, convenite che è l’ora di tornare a casa.

Immaginate che tornati a casa andate a controllare la posta, immaginando che forse c’è stato un contrattempo, e lei vi abbia avvertito via posta, non avendo memorizzato il vostro numero, non avendo soldi sul cellulare, o chissà per quale altro motivo.

Immaginate che non c’è nessun messaggio per voi.

Immaginate che vi chiedete perché, che non sapete darvi una spiegazione, che non sapete capacitarvi.

Immaginate di rileggere e rileggere la mail che vi aveva mandato precedentemente, alla ricerca di un indizio, di una mezza parola, di un piccolo particolare in grado di darvi una spiegazione a tutto questo.

IMMAGINATE DI SCOPRIRE CHE AVETE MESSO UN 3 AL POSTO DI UN 8 COME ULTIMA CIFRA DEL NUMERO DI CELLULARE CHE AVETE SALVATO IN RUBRICA.


lunedì 27 luglio 2009

MaremmAmata





Chiudo gli occhi e vado dappertutto.
Apro gli occhi e sono in un Camper.


Sono state due settimane scivolose, come sabbia fine che sciama tra le mani troppo alla svelta, che non si deve stringere per non far sfuggire ancor di più.
Due settimane salutate di fretta e senza guardarsi troppo indietro, per non sentire le farfalle nello stomaco, il migliore amico di ogni arrivederci. Con i puntini sospensivi del non-finisce-qui, gli ultimi abbracci e le ultime cose sussurrate, che inevitabilmente, ora, mi sembrano non esser stati abbastanza pieni, come avrei voluto e come avrebbero meritato.
In mezzo, tanti luoghi segreti e un buffet di persone croccanti di cui sarebbe difficile sentirsi già sazi. Ho dovuto munirmi dei miei occhi più grandi per gustare ogni particolare, e far posto a balle di fieno, papaveri, girasoli, stelle, grilli invisibili, gatti brutti, luci lontane, lampi vicini, il verde azzurro del mare e il giallo montagna riarsa dal sole, gli schizzi delle lotte a fare il bagno e quelli alzati su col remo del Kayak, e metterci il mio sorriso più largo, per lasciare entrare anche un po’ d’aria, ricordarmi di riprendere fiato. A chi mi ha adottato e condotto per mano alla scoperta del suo mondo posso solo dire GRAZIE, per avermi accolto e per aver reso quella sabbia, pastosa e pesante, come quando viene bagnata dal mare, così che adesso me ne resta addosso un bel po’, e non scivolerà via, se non per lasciare la mia pelle levigata e salmastra, nell’attesa di poterci riabbracciare.
Fino ad allora non mi rimane che richiudere ancora gli occhi, di tanto in tanto, e lasciar scorrere, tutte le cose che questa Maremma, tutt’altro che amara, mi ha insegnato:



  • Pholloniha non è la “Città della Ghisa”, bensì la “Città dei Sottopassaggi”, elevati a vero simbolo della città, se ne possono trovare di tutti i gusti, dal modello “pista da biglie sulla spiaggia” con lunghi curvoni e chicane, al modello "Mirabilandia", con pendenze da far rabbrividire anche qualche scalatore, fino al modello "Traforo Dolomitico" con passaggio panoramico sotto un palazzo ed emersione con vista su terrazzamenti a spiovente. I più appassionati costruiscono anche sottopassaggi amatoriali che collegano il cancelletto di casa col garage.


  • I Phollonihesi al volante si fermano in mezzo di strada e scendono senza imbarazzo e senza preavviso, quando più li aggrada.


  • La sera i Phollonihesi escono da ogni angolo, e sospetto si moltiplichino come Gremlins, ma non per raggiungere locali o birrerie, solo per stipare i parcheggi di quella che di giorno appariva come una ridente e assolata cittadina. Ci sono Phollonihesi che posseggono anche 5 automobili col solo scopo di spostarle nei parcheggi del centro la sera prima di andare a letto.


  • La mozzarella del Ranieri è fenomenale, non teme confronti col Primo Sale.



  • A Punt’Ala ci sono i cinghiali che fanno i vip e i vip che fanno i cinghiali. (fonte: la stampa locale)


  • A Punt’Ala intorno al porto ci sono boschetti di vegetazione finta, fatta dello stesso muschio del presepe, messa li per nascondere i confini della scenografia del Truman’s Show.


  • A Punt’Ala ci sono pochi posti bui per vedere le stelle, in alcuni di questi si possono trovare civette che fanno le civette.


  • Nei bar di Punt’Ala la sera ci si ritrova a guardare “Quel gran pezzo dell’Ubalda” con Leonardo Pieraccioni, Pippo Franco da giovane, e la Fenech quando era ne’ su’ cenci.


  • Al Baracchino le piadine sono buonissime, ma per vegetariani c’è solo la Salvador de Bahia.


  • I gelati del Pagni: che bontà! Peccato solo non saper uscire dal tunnel menta-liquirizia-zuppa inglese, così da allargare i miei orizzonti gustativi.


  • Scoprire che i camperisti nelle piazzole accanto alla tua sono una coppia di sposini dell’85 e un’altra dell’83 con due figli, può far ricominciare a mangiarsi le unghie.


  • I cani che abitano i giardini delle case di Giulia sono tutti simpaticissimi. I gatti bizzarri. I ricci schivi. I ragni grossi.


  • Se sentite la mancanza delle lucciole, potete sempre ripiegare su gamberetti fluorescenti che gironzolano intorno agli scogli del moletto dietro al Tahiti.


  • Bevendo una Caipiroska alla fragola sulla spiaggia del Congo si possono fare lunghe conversazioni sulle ultime sedute spiritiche, osservando i satelliti che scompaiono.


  • Quando si dice: -Ci si vede al cancello dell’Ilva-, in realtà significa che si è fissato al parcheggio che c’è dietro.


  • Chiunque può dedicare alla propria fidanzata o al proprio nipote un albero con dedica al Parco della Gioventù.


  • La crema solare Water Resist è Water Resist quando si apre nello zaino e cerchi di ripulire tutto quello che ha sporcato, ma non è Water Resist quando te la spalmi addosso e ti fai il bagno.


  • Al Tangram quando tira vento i maghi spariscono.


  • Al Tangram il caffè è più buono perché c’è il trucco.


  • Al Tangram con i fondi di caffè si fanno Dolcetti Colombiani. A buon intenditor poche parole.


  • Al Tangram è difficilissimo passare a fare un salutino senza che Tide ti offra la cena o una doccia o un ombrellone.


  • L’ingrediente segreto dei cocktail buonissimi che fa Tide è che gli ha insegnato a farli America.


  • Nel mare a Torre Mozza c'è un triangolo, vicino a riva, in cui per terra c'è la creta. Si possono realizzare ottime palle di sabbia da lanciarsi. Cospargersi i fanghi sulla pelle. Improvvisare vasi da fare invidia a Ghost.


  • Alla Festa Internazionalista, nella pinetina di Riotorto (in provincia di Lecce) si mangiano felafel più decenti che in tutti i kebabbari di Firenze.


  • Davanti ai venditori di braccialettini dovete legarmi le mani. Non sono capace di limitarmi ed è perfino una spesa inutile, tanto Conan poi me li rompe.


  • Quando si rubano tutte le Grazielle che si trovano per strada, a patto che siano slegate e apparentemente in disuso, poi non ci si può lamentare se ci viene rubata la Graziella, specie se la si lascia slegata.


  • A Egizia non danno il permesso di realizzare sulla sabbia castelli di sabbia a forma di buccia di banana, eschimese che prende il sole, ragazzo disabile che beve un Four Season al Tangram.


  • Sara-Ska parla un sacco di lingue, parla un sacco in generale, ti dice che ti porta a correre ma poi non lo fa, diffida delle persone di sesso maschile che vogliono fare amicizia con lei, ma in ogni caso a lei le è morta la mamma.


  • Per le strade del centro le cassette della posta sanno riconoscere gli ex-postini. Se questi si distraggono esse si vendicano graffiando loro le spalle.


  • A giocare a bandierina coi bambini ci si sbuccia i ginocchi. Anche se non si è bambini.


  • Ci sono case a forma di caffettiera.


  • In fondo alla vecchia cartiera, adesso un quartiere fantasma tipo quello accanto alla Stazione Leopolda, c’è il pensatoio numero uno. A Torre Mozza c’è il pensatoio numero due. Il pensatoio numero tre è in un luogo segretissimo ancora non rivelato, si sa solo che andarci di notte è pericoloso.


  • Al Puntone ci sono le rane minuscole che non si fanno prendere, le libellule che si accoppiano, i pesciolini che saltano fuori dall’acqua, i casottini per l’osservazione degli uccelli. Mancano solo gli uccelli.


  • Per andare da Giulia e Giulio bisogna stare attenti a stare dalla parte giusta della ferrovia (e del pinguino che lava le automobili).


  • Il giorno di chiusura del Tacca Tacca è il Mercoledì.




martedì 21 luglio 2009

Dai diamanti non nasce niente, dalle spille da balia nascono i fior


C’era una volta un ragazzino di quindici anni, spavaldo e colorato, come quando è tutto ancora intero, quando ancora è tutto chi lo sa (e a quindici anni si è stupidi davvero, quante balle si ha in testa a quell’età). Anni da voglio tutto o niente, radicali come ogni persona abbia un minimo di cuore non può non essere in quel periodo. Anni di megafoni e di primi amori, anni di sigarette che fan girar la testa e di non sapersi regolare.
Uscire di casa a quindici anni è quasi un obbligo, quasi un dovere, e il Primo Maggio offriva l’occasione storica per compiere un’impresa epica. La nostra odissea erano i binari della ferrovia, la nostra Ilio da conquistare era il concerto in Piazza della Vittoria a Reggio Emilia, la versione alternativa del Concertone di Roma, dove suonavano i Cccp-Csi e la combriccola di gruppetti a loro vicini, dai Marlene Kuntz agli Ustmamo. Armati di panini al formaggino e bottiglie di vino travasate, eravamo pronti a varcare le colonne d’Ercole. Dalla stazione di Itaca si parte, alla stazione di Itaca si torna, e nel mezzo una lunga giornata e un nugolo di persone nuove appena conosciute, e subito salutate, con un arrivederci, con una breve cerimonia di investitura, come per riconoscersi a vicenda l’onore delle armi.

C’era una volta, un ragazzetto di venitcinque anni, seduto su una sedia di legno. Conta le ore passate in segreteria, rivolgendo preghiere a S.Gallo perché la fila di studenti che lo precede scorra più velocemente. Certo non spavaldo e colorato come un tempo. Basti dire, per intendersi, che la sfanga un po’ di meno, ma ci capisce un po’ di più. Gli anni portano problemi e consigli, e come una pioggia che cade giorno dopo giorno su un terreno carsico, spingono in profondità le cose che prima stavano in superficie, lasciandole vivere, ma costrette a scorrere solo per fiumi e canali sotterranei. Nelle sue mani stringe una domanda di laurea che si accinge a consegnare, una tappa importante per un primo importante traguardo, che solitamente si taglia solo..due volte nella vita. Sfoglia svogliato William Shakespeare, Macbeth, tra qualche settimana ne uscirà uno spettacolo teatrale. Alza la testa di tanto in tanto, passando in rassegna le facce della popolazione annoiata che riempie la stanza. È in quella che riconosce un volto noto, seppur non familiare. Dov’è che l’ha già visto? Amica di amici? Facoltà? Forse, al liceo?...Beccata. Il concerto del Primo Maggio. Ha i capelli diversi, ecco perché non l’ha riconosciuta subito. Com’è che si chiamava?...C...C...Chiara? Quasi quasi le si avvicina e le dice qualcosa...No. E perché dovrebbe?



C’era una volta e c’è ancora, un ragazzotto di ventotto anni. Un po’ meno colorato e un po’ più spavaldo. La sfanga un po’ di più e si adegua, perché ogni tanto ha la sensazione di capirci un po’ di meno. Da quando si è laureato continua ad incontrare quella ragazza nei luoghi più impensabili, come si fa con certe parole, che senti pronunciare per la prima volta, di cui ricerchi il significato, e che da quel giorno scopri in bocca ad amici e parenti, canzoni e programmi televisivi, con l’arrogante nonchalance di chi sembra voler dire: ma come? Solo tu in tutto questo tempo l’avevi nascosta ai tuoi occhi?
Eccola Chiara, sbucare su un autobus arancione, fumare una sigaretta appoggiata ad un motorino in Piazza Savonarola, far ondeggiare un buffo codino da coda di scoiattolo, o da tennista svedese, mentre attraversa di fretta il cortile di Piazza Brunelleschi. Eccola dall’altra parte della città, che chiude la porta della sua psicoterapeuta, pochi attimi prima che lui stesse per entrarvi.
Ora. Non che la vita debba esser letta necessariamente alla strenua di un sussidiario illustrato di avviamento all’opera completa di Paulo Coelho, ne’ che si debba sfogliare per forza la quotidianità come pagine di un favoloso mondo di Amélie fatto in casa.
Ma il ragazzotto intravedeva in tutto questo un non so che...come una melodia che canticchi senza ricordare a quale canzone appartenga, come il bisogno di annusare una cosa prima di assaggiarla...il sogno di una cosa. Così si ripromise di non lasciarsi sfuggire, appena l’avesse incontrata ancora, la curiosità di condividere la sua meraviglia con quell’inconsapevole compagna di viaggio, seduta sullo stesso bus arancione per chissà quante fermate ancora.
Era quasi natale, quando la vide apparire e scomparire tra gli scaffali polverosi di vecchi libri di filosofia, nella biblioteca di Via Bolognese. L’occasione si presentava più ghiotta di un panettone senza canditi. Mancava solo un piccolo particolare, prima di mettere in scena lo spettacolo d’arte varia che più volte aveva visto scorrere nella sua immaginazione, nelle settimane precedenti. Anche i migliori prestigiatori, si sa, han bisogno di un coniglio o di un mazzo di carte o di un fazzoletto colorato, altrimenti la magia non riesce, e lui, da prestigiatore più che principiante, si sarebbe accontentato di chieder molto meno. Solo un piccolo oggetto. Il primo istinto fu quello di frugarsi le tasche e chinare lo sguardo per terra, aspettandosi di trovarselo prontamente davanti. Non poteva non trovarselo di fronte, d'altronde, ora che il momento era arrivato. Questo ripeteva a se stesso con la sicurezza di chi non crede nei miracoli, perché ne ha già visti troppi.
E invece non ve n’era traccia. Che scemo ad aver pensato ai romanzi di Paulo Coelho, al favoloso mondo di Amélie, a tutto un po’ po’ di armamentario stellare impegnato a cospirare in favore delle sue avventure...
Si sentì ridicolo, e, ridestato da sogni o visioni quasi da poter, a buon diritto, stropicciarsi gli occhi, ritornò serio, promettendosi che d’ora in poi avrebbe nascosto nel portafoglio quel piccolo oggetto misterioso, in modo da non uscire più di casa senza, da non farsi mai più cogliere impreparato, la prossima volta che la fatina del fato avesse deciso di far passar un nuovo autobus arancione.
Sicuro, si incamminò verso il gabbiotto della bibliotecaria, per farsi registrare il prestito dei libri che frattanto aveva preso. E fu attendendo che questa avesse sbrigato le sue pratiche, che lo vide li. Luccicante sulla scrivania della bibliotecaria, esattamente quello che stava cercando.
Mamma mia. Non poteva non approfittarne. Con cinque dita e un po’ di paura, accomodò nella tasca del cappotto l’ultimo anello mancante, prima che la bibliotecaria avesse finito di declinare sulla tastiera MEE-DII-TAA-ZIOOO-NI MEE-TAA-FII-SI-CHE.
Ormai il meno era fatto. Veniva adesso la parte più difficile, quella in cui il destino incrocia le braccia e se ne sta a cuccia nelle tue mani. Quella in cui dipende da te prendere il coraggio in pugno e andare incontro a un calcio in faccia con la tua calma e indifferenza sembra quasi che ti piaccia, laddove il calcio in faccia, in questo caso, consiste in una grassa figura di merda, e nella probabilità di scomparire sotto terra almeno per due o tre orette buone, se non sei stato capace di far andare le cose come avresti sperato.
Lei ha lasciato gli scaffali per leggere qualcosa appeso ad una parete. Lui le si avvicina e da inizio alle danze.

“Ciao scusa, ti posso rubare qualche minuto?”

“…. Ma… dipende…”

“Guarda si tratta solo di una roba di cinque minuti, se ti va, altrimenti me ne vado.”

“Mmm...sentiamo...”

“Tu non ti ricordi di me ma noi ci conosciamo..”

“No, guarda. Se ci conoscessimo me ne ricorderei!”

“E invece ti dico che ci conosciamo ma non te ne ricordo. Tu diversi anni fa avevi i capelli cortissimi non è vero?”

“Mmm…può darsi, e allora?”

“Non ti ricordi di me perché nel frattempo è passata molta acqua sotto i ponti. Per esempio io ora sono rasato a zero e allora avevo i capelli lunghi e invece tu ora hai i capelli lunghi e allora eri rasata a zero. Allora entrambi eravamo vestiti in modo molto eccentrico, io con le mie tutine coloratissime e le mie felpe peruviane, tu tutta punkettina, con fusò neri e spille e spillette appiccicate su tutti i vestiti. Mi ricordo che ti chiami Chiara, e che ormai un bel po’ di anni fa, andammo insieme a Reggio Emilia, ad un bellissimo contro-concerto del Primo Maggio, dove suonavano tutti gruppetti più alternativi che non erano andati a Roma.”

Il volto di lei comincia ad illuminarsi, sta cominciando a ricordare, e anche lei adesso ha spalancato la porta alla meraviglia, pronta a farsi travolgere.

“Quella fu una giornata bellissima.. e quando alla fine arrivammo a Santa Maria Novella tu mi facesti un regalo, mi dicesti: - Tieni! Così ti ricorderai di me! - e ti staccasti di dosso una delle tue spille da balia, per appuntarla sulla mia maglietta…
Ebbene, dopo tutto questo tempo, è arrivato il momento che io ti restituisca il regalo”


Ed estrasse dalla tasca la spilla da balia storta e ammaccata, fregata alla bibliotecaria.

“Come vedi è piuttosto vissuta e sciupacchiata, ma d’altronde, te l’ho già detto. Ne è passata di acqua sotto i ponti!”

Gli occhi gonfi di incredulità di lei, quel sorriso spalancato, erano un premio impareggiabile agli sforzi che aveva fatto.

“Ci sarebbero tante altre cose da dire...ma ce le diremo la prossima volta.”

E la salutò così, da signore, senza chiederle altro. Un appuntamento? Un numero di telefono? Macché, voleva congedarsi con la sicurezza di chi SAPEVA che l’avrebbe incontrata ancora. Non occorreva aggiungere altro.


domenica 5 luglio 2009

Notti Arancioni


La scorsa notte a Rimini si è celebrata la “notte rosa”. Dopo aver visto alcune immagini a “Studio Aperto” non ho neanche il coraggio di indagare sul perché diavolo sia stata organizzata, mi è bastato vedere le speciali piadine rosa coniate per l’occasione e le migliaia di persone invitate a riversarsi sulle strade della riviera romagnola con indosso indumenti e accessori del medesimo colore.



Pare comunque che lo spirito di questa serata sia celebrare un secondo capodanno, stavolta in clima estivo, così che chiunque possa sfoggiare gli scollatissimi vestiti da notte di S.Silvestro, spesso improponibili in qualsiasi altro giorno dell’anno, al pari di un abito da sposa, senza lo spiacevole inconveniente del freddo.
Va da sé che mi è molto difficile giustificare una simile usanza, però forse, se togliamo il rosa, e qualche migliaio di idioti, un senso più profondo questo "bisogno di festeggiare" potrebbe perfino averlo. Qualcosa che potrebbe avere a che fare con, per dirla con i Righeira, “l’estate sta INIZIANDO, un anno se ne va”. Ma si, insomma, d’estate muoio un po’, aspetto che ritorni l’illusione…chi non se l’è sentito ripetere fino alla nausea, accendendo la radio?
Con le vacanze estive dopotutto si chiude il ciclo di un anno di lavoro, di studi, di frequentazioni, di attività, regalandoci una pausa, li nel mezzo, per ricaricare le batterie, per fare un punto della situazione, per fare viaggi, esperienze, il tempo per leggere qualche libro lasciato ad impolverare più del dovuto su uno scaffale, tornare un po’ cambiati, un po’ abbronzati (leggi ustionati & spellati), con le idee risciacquate, rischiarite, pronti a ripartire e reimmergersi in un anno nuovo.
Forse si tratta davvero una cesura più palpabile che non il ricordarsi di scrivere una data con un numerino diverso in fondo.

E cosi mi preparo anch’io a festeggiare una bella serie di notti rosa, o come preferisco immaginarmele io, di Notti Arancioni.



Notti Arancioni per gettarmi alle spalle i due esami di filosofia sul libretto più rubati della storia dell’Etica, che hanno disturbato i miei sonni con l’incubo del mio primo giorno da insegnante a scuola, in cui dopo essere stato presentato alla classe dal preside, da sotto la cattedra è sbucato Marco Travaglio, pronto a dimostrare che in un paese civile io non dovrei essere li, dopo aver macchiato il mio curriculum con due esami farsa in quel modo.

Notti arancioni per gettarsi alle spalle il cellulare che dopo anni di onorato servizio ha reso l’anima al dio Nokia, caduto vittima, ironia della sorte, della notte bianca d’oltrarno, e del nostro eterno rotolare (come agnello nel Kebab) per le sue strade, quando tra giri di valzer si corre il rischio di farlo precipitare rovinosamente per terra, fino a ridurlo ad un pratico elettrodomestico inutile, ormai capace solo di illuminarsi come una simpatica abat-jour portatile, e poco più.

Notti arancioni in cui, se avessi ancora lo stereo della macchina, potrei suonare un requiem per lo stereo della mia macchina, che ha esalato il suo ultimo La#, nel vano tentativo di espellere un CD di Battiato che resterà per sempre dentro di lui, mentre ero in procinto di partire per Follonica, divenuta ormai la mia seconda casa, d’adozione, come recita la mia nuova fiammante tessera di Librando (CLICK). Inutile è stata anche la corsa in casa, sotto un acquazzone, per recuperare un lettore mp3 di fortuna, incaponito e ostinato a non fare il viaggio senza musica, ma con la beffa, dopo il danno, di sbarbare, nella foga di estrarre le cuffie dal cassetto, uno dei due auricolari, costringendomi ad aggiungere un ulteriore elettrodomestico nel mio cimitero d’ele(ttro)fanti .

Notti arancioni per gettarmi alle spalle il piccione che ho investito sulla Fi-Pi-Li, dilapidando in un solo momento la minuziosa tela tessuta amorevolmente lungo un anno di vegetarianesimo, e con essa gli utopici propositi di rimettermi in pace col mondo, o quanto meno di riequilibrare la bilancia del mio contribuito personale in termini di emissioni nocive di gas-sofferenza-serra.

Notti arancioni per gettarsi alle spalle la pur piacevolissima gita in quel di Parma, una città a misura d’uomo in cui si può approfittare dei Saldi di fine stagione, al punto che è possibile acquistare un paio di Camper e un pacchetto “multa per divieto di sosta + rimozione forzata” a prezzi stracciatissimi.



Fortuna che adesso ho un giardino zen nel posacenere della macchina che mi segue e mi da la possibilità di rilassarmi ovunque vada, alla faccia di quelli che sbraitano stressati dal traffico cittadino, poiché incomincio a pensare che sono in vacanza da pochi giorni…e ho già bisogno di una vacanza!




mercoledì 17 giugno 2009

Il gigante e la bambina


Il Gigante e la bambina sotto il sole contro il vento
in un giorno senza tempo camminavano tra i sassi…



Calata la sera ci siamo diretti al cinematografo.

LEI “Ah, meno male non è lei”
LUI “chi?”
LEI “La bigliettaia! C’è una qua che devo sempre chiederle biglietti dicendole il nome della sala, perché tutte le volte che vengo da sola a vedere un film horror mi guarda malissimo. Ma stasera non c’è. Non è lei….Due biglietti sala Venere, per favore.

La bigliettaia tentenna, poi esige che le si esibiscano preventivamente i documenti di identità, ricordandoci che la visione del film vietata ai minori di anni 18. Un po’ turbato, le domando se sia convinta sul serio che io abbia meno di 18 anni. Lei sembra tornata risoluta e risponde di no, quasi stizzita di fronte a tanta ovvietà. A tal proposito cerco, dunque, di persuaderla del fatto che, sebbene ultimamente sia un costume assolutamente di moda, in voga persino tra le più alte cariche dello Stato, non è invero mia abitudine accompagnarmi a minorenni.
Mentre finalmente stacca i biglietti, sospetto che La mia amica approfitterà di quest’episodio per cominciare, d’ora in poi, a chiamarmi “Papi”, e penso che, sì, decisamente al Fulgor hanno un problema con le bigliettaie.

Ho sete. Saliamo al Bar. Lei prende un gelato. Io una bottiglietta d’acqua:

LUI “Da bere vuoi qualcosa?”
LEI “…”
LUI “…?”
LEI “non so..”
LUI “…”
LEI “Tu come sei? Sei il tipo che beve tanto?”

Decidiamo che quella bottiglietta d’acqua ce la faremo bastare.
Salendo le scale che conducono alla saletta dimenticata del cinema, si ha la sensazione di stare per sbucare, da un momento all’altro in un mondo capovolto. Come nei cartoni animati in cui a furia di scavare sbuchi in Cina dove però tutti camminano a testa in giù (peraltro nei cartoni da qualsiasi parte del mondo si scavi, anche in Cina, poi si sbuca sempre in Cina). Allo stesso modo mentre ti sembra di salire le scalette, in realtà stai evidentemente scendendo in direzione dell’inferno. Stesso clima, stessa chiose verdi sgorate alle pareti. Una suggestiva atmosfera per prepararsi psicologicamente ed emotivamente al film, evidentemente concordata con l’entourage del regista in persona.

Inizia la proiezione. Non devo fare arrabbiare La B., che è un CINQUE, e se parli mentre guarda un film si incazza. Dovrò appuntare placido le mie osservazioni, onde evitare di dimenticarle.
Che dire…un bel film. Pieno di spunti, di nodi non sciolti, di simbologie sospese, aperte alla libera interpretazione dello spettatore… se potessimo curiosare tra i pensieri dei nostri due amici, durante la proiezione, potremmo scoprire le loro più intime reazioni, leggere il mondo, per un paio d’ore, con gli occhi di un Gigante e una Bambina, compiere il viaggio dei viaggi, quello che, per dirla alla Proust, non consiste nello scoprire nuovi mondi ma nell’avere nuovi occhi…



Prologo.


LEI “Bianco e nero, fotografia patinata, ralenti, i due protagonisti si lasciano andare ad un focoso e lungo amplesso, prima sotto la doccia, poi sulla lavatrice e infine sul divano. Sei minuti dove Von Trier ci preannuncia che nulla verrà lasciato all'immaginazione. Che sia una penetrazione in primissimo piano, o una lunga e dolce caduta nella neve, Von Trier non rinuncia di certo a mostrarcelo."

LUI “Ganzissimo, mentre Willem DeFoe e Charlotte Gainsbourg fanno sesso, in modo scherzosamente allusivo, le tacche del segnale sul cordless vanno su e giù, la lancetta di una bilancia si impennano ripetutamente per poi ricadere in basso, un po’ come in “Una pallottola spuntata 2 e mezzo"."


LEI "Nella stanza accanto il loro bambino, sempre molto lentamente, esce dalla culla, si guarda intorno, vede una finestra aperta, osserva la fredda neve che entra dalla finestra, si avvicina, vuole toccarla, avvicina una sedia alla finestra e sale sul davanzale, si sporge, precipita."

LUI "Noooo..Quando il bambino precipita la cinepresa lo inquadra dall’alto della finestra finché toccando il suolo non solleva una nuvola di neve, proprio come tutte le volte che Willy il Coyote precipita dalla rupe."


Trama.


LEI “Lentamente e disperatamente la coppia raggiunge l'Eden, una piccola isola nei boschi, lontano da tutti e da tutto dove il dolore lascia il posto alla disperazione, alla rabbia, alla follia. Simboli non tutti chiari (ed è per questo che il fim avrebbe bisogno di una seconda, terza o quarta visione) che si susseguono senza sosta. Anche solo per capire il significato della volpe.

LUI “Passi la pioggia di ghiande, che ci sarebbe da alzassi, segare ogni bene e tornare a letto… passi il cerbiatto-tarzanello che penzola dal culo della mamma, passi Red, la volpe-zombie (sbranata da Toby o dal Piccolo Principe) che chiarisce inequivocabilmente che il “Caos Regna”… ma che uno se ne vada a giro con un frantoio infilato in una gamba, senza moccolare, nemmeno quando lei lo piglia a palate in testa perché c’é un tordo di merda che lo becchetta su una mano e fa un casino della madonna…!!!

Epilogo.

LEI “Si tratta del film in cui il regista danese gioca finalmente con se stesso a carte totalmente scoperte. È nudo Von Trier questa volta, ed è sgradevole, devastato, perché Antichrist è senza dubbio il suo film più squilibrato e al contempo più ambiguamente sincero.

Lui "Quando De Foe se ne va da quel cazzo di Eden, con una gamba in cancrena e dopo aver strangolato la moglie, tutti gli amici del bosco, accorrono a salutarlo. Lo guardano a lungo negli occhi tipo “quattro cuccioli da salvare”, e lui risponde pacioccoso come il miglior Koda fratello orso."


In fin dei conti, al di là della sua indiscutibile abilità e originalità registica, l’applauso più sincero che merita Lars von Trier è per essersi ricordato, ed averci ricordato, che chi si prende troppo sul serio non dovrebbe essere preso troppo sul serio.

Camminavano tra i sassi sotto il sole contro il vento
in un giorno senza tempo il gigante e la bambina…


sabato 6 giugno 2009

Tranquilli, il meglio è passato!




molto spesso una crisi è tutt'altro che folle, è un eccesso di lucidità




...sta finendo la crisi e ogni volta che passa una crisi resta qualche traccia. Infatti ultimamente rido per niente e non mi nascondo più facilmente...

venerdì 29 maggio 2009

E il cielo è Blu, lo dici tu, nessuno è Blu, nessuno più...


Quella sdraiata che vedete sono io, mi chiamo Nila, ho 23 anni e una storia buffa.

Nella lingua Pali, derivata dal Sanscrito, la parola "Nila" indica quel particolare tono di colore, un Blu scuro, che in India viene consigliato come l'ambiente più adatto per la meditazione. E fu proprio al ritorno dal loro viaggio di nozze in India, che i miei genitori decisero che questo sarebbe stato il mio nome.


Il Fato o il Caso sanno essere molto bizzarri.
Avendo già nascosto nel mio nome le tracce di quello che sarebbe stato il mio destino, dal momento in cui il Blu è molto di più che il mio colore preferito, poiché si da il caso che sia capace di rendere irresistibile ai miei occhi qualsiasi oggetto su cui si posino i suoi pigmenti.
E dire che per gli antichi greci e per i romani il Blu era tutt’altro che un colore apprezzato. Associato al colore degli occhi dei barbari, era infatti considerato tutt’altro che nobile. Cyanos, il blu greco, è il colore della sofferenza, e ancora oggi definiamo "cianotica" una persona pallida.
Le cose, in occidente, non sarebbero cambiate fino all’avvento del Cristianesimo, quando il Blu, associato alle vesti di Maria, avrebbe cominciato ad essere interpretato come fonte di serenità, simbolo di evasione e di pace.
Decisamente più inclini ad apprezzare questo colore, si sarebbero dimostrate le civiltà extraeuropee: nell'antico Egitto il Blu, incarnato nella pelle del dio dell'aria, Amon, era sinonimo di introspezione e di infinito, in Oriente, dove gli occhi azzurri si ritenevano segno di poteri magici, era considerato un talismano capace di tenere lontane le maledizioni. Per i Cinesi è da sempre associato all’immortalità, mentre oltreoceano, nella mistica Maya, il Blu non si distingueva dal Verde, ma era il colore attribuito al centro dell'universo.


Per la Cromoterapia, il Blu presenta virtù calmanti. La contemplazione di questo colore ha un effetto pacificante sul sistema nervoso centrale, contrastando insonnia, stress, irritabilità, nervosismo. Gli studi di Kurt Goldstein dimostrano che in una stanza esposta ad un'illuminazione azzurra il sistema parasimpatico viene stimolato dimodoché gli oggetti appaiono più piccoli e leggeri, mentre aumenta la sensibilità al freddo e si riducono il battito cardiaco, la pressione arteriosa e la frequenza del respiro. La necessità del conforto del Blu è avvertita dall’organismo in particolare nella malattia e nell'esaurimento nervoso, aumentando di pari passo alla sensibilità, alla suscettibilità, alla vulnerabilità.
Secondo il Test degli Otto colori di Lüscher, il Blu scuro è la rappresentazione cromatica di una necessità biologica di base: fisiologicamente rappresenta la tranquillità, psicologicamente gratificazione, stabilità e sicurezza.
Il Blu incarna lo spirito dell'adattamento, la resa della devozione, la fiducia e la dedizione, È il colore del silenzio, della contemplazione, della profondità interiore e della pienezza, preferito specialmente dagli amanti del cibo. Talvolta è associato alla forma geometrica del cerchio, simbolo dell'eterno moto dello spirito, capace di sintetizzare insieme quiete e dinamicità.
Il Blu corrisponde alla nobiltà dei sentimenti, un requisito per l'empatia, per l'esperienza estetica e per l'acutezza meditativa, carico di femminilità, temperanza e tenerezza.


Nella pittura, prima che le tinte cominciassero ad venir sintetizzate chimicamente, per ottenere pigmenti Blu, era necessario mescolare ingredienti preziosi come olio di lino e polvere di lapislazzulo, il che ne faceva il colore più costoso in assoluto, tale da essere impiegato con molta parsimonia.
Ne “Lo spirituale dell’arte”, Vasilij Kandinskij, da indicazioni circa gli accordi che si possono formare declinando il suono interiore dei colori, lungo le direttrici delle qualità calda o fredda e chiara o scura.
Il fondatore del Cavaliere Azzuro (Der Blaue Reiter), spiega che il carattere caldo o freddo corrisponde a un’inclinazione del tutto generale verso il Giallo o verso il Blu, attraverso cui il colore conserva il proprio suono fondamentale, che diventa però più materiale o più immateriale, mentre il contrasto costituito dalla differenza tra chiaro e scuro, da luogo al movimento, verso lo spettatore, o via da lui.
Nel primo caso, la variazione dal Giallo al Blu, contribuisce al moto eccentrico o concentrico di un oggetto. Se si tracciano due cerchi di ugual grandezza e se ne colora uno di Giallo e l’altro di Blu, si osserverà, già dopo un istante, che il Giallo irraggia, riceve un movimento dal centro verso l’esterno e sembra quasi avvicinarsi all’osservatore. Il Blu sviluppa, invece, un movimento concentrico (“come una chiocciola che si ritira nel guscio”) e si allonatana dallo spettatore. L’occhio viene abbagliato dal primo cerchio, e, al contrario, si immerge nel secondo.

“Questo dono della profondità è così grande nel blu che proprio nelle tonalità più profonde, diventa intensa e acquista un effetto interiore più caratteristico. Quanto più il Blu è profondo, tanto più fortemente richiama l’uomo verso l’infinito, suscita in lui la nostalgia della purezza e infine del sovrasensibile. Esso è il colore del cielo come lo immaginiamo quando sentiamo il suono della parola cielo”


Nessuno dovrebbe dunque meravigliarsi se tutto quanto è Blu riesce ad attrarci almeno nella stessa misura in cui riesce a sfuggirci.


Il Fato o il Caso sanno essere molto bizzarri, l’ho già detto, ma anche molto beffardi.
E qualche demone dispettoso deve aver deciso di aver voglia di prendersi gioco di me, quando al mio nome e alla mia attitudine verso il colore Blu, regalarono anche la mia malattia, quella per cui chi troppo abbraccia niente stringe, il crudele contrappasso secondo il quale talvolta ciò che più ci attrae fatalmente corrisponde anche a quello che ci fa del male, dal quale non possiamo tuttavia, nostro malgrado, sottrarci, se non come una falena attratta dalla luce della candela che la brucerà.


La chiamano “Allergia in Blu”. Avevo la cute dei piedi secca, arrossata, irritata, e lamentavo un prurito fortissimo. Quasi non riuscivo a camminare. Il medico indicò subito un’acuta dermatite irritativa o allergica. Non avendo mai sofferto di eczemi o altre forme allergiche in passato, sono stata invitata sottopormi al "patch test", i test epicutanei, che prevedono l'applicazione, sulla schiena, di numerosissime sostanze potenzialmente allergizzanti, per valutare se effettivamente non si fosse trattato una reazione di altro tipo.
Risultato: allergia al colore Blu. Effettivamente prurito e rossore erano comparsi una sera di settembre, quando mi sono tolta i calzini blu, al termine di una giornata calda, dopo aver giocato tutto il pomeriggio ai giardini, e abbondantemente sudato. Scoprii che chiunque abbia la pelle particolarmente sensibile, o chi abbia sofferto di dermatite atopica, asma, rinite, congiuntivite, deve stare particolarmente attento anche ai colori che indossa.
Mi hanno detto che spesso la mia bizzarra allergia si accompagna a quella al Nichel. Io certo avrei fatto volentieri a cambio, con quella che mi pare una riluttanza ben più nobile. Il pensiero di non poter maneggiare monete suona quasi come qualcosa di fiero e altero, a metà strada tra un monito e una benedizione, come le premure di un corpo saggio, che volesse in qualche modo proteggersi da ogni mercificazione. Si, avrei fatto volentieri a cambio.

Il Fato o il Caso sanno essere molto bizzarri e beffardi, continuo a ripeterlo, ma anche molto tristi.


Avrete provato certamente anche voi la diabolica lacerazione di trovarsi dilaniati tra un’ irriducibile attrazione e un insuperabile e crudele divieto, tra il dolce premio ad aver sognato forte e la punizione che mortifica un’impertinente audacia, tra l’irrimediabile sensazione di benessere, il trasporto che schiude il desiderio e da cui, come un Icaro, lasciarsi cullare, salvo poi precipitare a terra, bruscamente, su un tappeto di brulicanti bollicine rosse, col conforto, soltanto, di un paracadute di antistaminici.
E così voi e la mia pelle mi perdonerete, il rivolo di una lacrima Blu, pensando all’Iris dei miei 23 anni caduti, passati in buona parte dietro una finestra, sospirando per chimere osservate solo da lontano: il mare, il cielo, i puffi, una candela blu, il tappo della crema della Nivea, la custodia degli occhiali, la notte stellata di Van Gogh, il rimmel Blu, gli occhi di mio padre, il dizionario di francese, le ballerine Blu, la campana per la raccolta del vetro e della plastica, la penna con cui scrivo, i mirtilli, le foto della Grecia, un cuscino regalato, il libretto dell'Università, il cartone del latte Intero, le strisce dei parcheggi a pagamento, il furgoncino dell’AmicoBlu che mi ha appena investito, sull’asfalto Blu.

(CLICK)


Da qui il cielo sembra una distesa d’acqua Blu, nella quale mi parlano di una voce che non riesco a sentire, uomini agitati come pesci guizzanti…allora ti accontenti di ascoltare quel Blu in cui li osservi nuotare, e ti tieni la voglia e rimani a pensare “come diavolo fanno a riprendere fiato."